L’antica Trinacria ai livelli più arcaici di cultura, come altre aree nel Mediterraneo, era caratterizzata dal matriarcato e la religione prevalente era quella della Grande Madre, protagonista dell’evento unico della generazione e della cultura agraria.
Le due principali roccaforti del culto riservato alla Dea erano Enna ed Erice, “montagne” dove il sacro si manifesta nella roccia, ed anche altri luoghi come la città ellenizzata di Morgantina ed il centro siculo di Centuripe, che custodiscono entrambi preziose testimonianze archeologiche del culto.
La pietra, per la sua robustezza e durevolezza ben si presta a garantire le idee di eternità, di sacro, di tabù. I miti più arcaici parlano, infatti, di terra e cielo uniti, di eventi traumatici che li hanno separati e del tentativo di ricollegarli attraverso montagne artificiali come torri o piramidi o le rocche che costituiscono naturali assi di collegamento tra il piano terrestre e quello celeste.
Enna fu il centro di culto principale di Demetra/Cerere e della figlia Core/Persefone, divinità legate alla fertilità della terra.
Si narra che durante il periodo in cui Core si trovava vicino alla madre la natura era rigogliosa e fertile, mentre quando scendeva nell’Ade dal marito Plutone, come stabilito da Zeus, tutto sembrava apparentemente “morto”. Il mito riporta che gli abitanti della Sicilia ricevettero il dono del grano per aver aiutato la Dea a ritrovare la figlia rapita ed averla fatta sorridere nei momenti della triste ricerca.
Questa spiritualità antica si ritrova oggi nel culto della Vergine della Visitazione, patrona di Enna, che pian piano soppiantò il culto della Dea, benchè alcuni aspetti delle cerimonie pagane rimangono latenti e frammentati nella pratica cristiana.
Alle soglie del ‘400 la statua della Dea era stata bruciata da Re Martino per mettere fine al culto pagano strisciante, e venne sostituìta con la statua lignea della Madonna della Visitazione, acquistata a Venezia nel 1412 e adornata da una preziosa corona ed un manto trapuntato di gioielli.
L’itinerario della Processione, a quanto sembra, venne stabilito dal volo di alcune colombe bianche.
In attesa del 2 luglio, data non a caso vicina alla mietitura, il simulacro della Vergine resta sempre nascosto nel duomo di Enna, come avveniva anche per la statua della Dea conservata nell’adyton, cioè il sacrario impenetrabile del tempio.
I portatori, detti “nudi” indossano bianche tuniche come gli antichi sacerdoti ed il fercolo è chiamato la “nave d’oro” per il suo splendore. Fino a pochi decenni fa, era anche adornato di spighe, papaveri e fiori di campo offerti dalle fanciulle in età da marito, emule di Core che era intenta a raccogliere fiori sulle sponde del lago di Pergusa quando venne rapita da Ade, inconsapevole precursore del rito nuziale siciliano della “fuitina”.
Fino al tardo Ottocento si usavano pure le fiaccole per ricordare la torcia accesa nel cratere dell’Etna dalla Dea per rischiarare la notte siciliana in cerca della figlia.
Anche Iside, spesso assimilata a Persefone, viaggiava su una nave ed il suo culto era molto diffuso nella Sicilia romana. Lo ritroviamo nel culto di S. Agata, patrona di Catania.
La corona aurea della Vergine ricorda, infine, la corona di spighe ed il bambino. Anche se all’epoca della Visitazione Maria era incinta, sostituisce la dea della Vittoria che era posta nelle mani di Cerere nella scultura che ispirò a Verre sacrileghi desideri di rapina, così come ci racconta Cicerone nelle famose Verrine, dove descrisse con minuzia di particolari il grandioso santuario di Demetra di Enna, posto alla finedi una lunga via Sacra, ricca di statue colossali e santuari satelliti.
Durante la festa della Madonna si distribuiscono pani e dolci votivi come ai tempi di Cerere e gli Ennesi esclamano ancora nella vita quotidiana “Cori, Cori!”, la mitica Persefone o la Vergine Maria?”.